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Le auto elettriche provocano inquinamento e problemi etici



L'auto elettrica è veramente green? Se l’energia che alimenta i veicoli non è pulita, l’uso di un veicolo elettrificato non porta alle zero emissioni di CO2. In sostanza, il problema dell'anidride carbonica passa dal tubo di scappamento alle ciminiere delle centrali elettriche, ancor di più se queste sono alimentate da carbone, gas oppure olio combustibile. 

All'interno del settore automobilistico la convinzione è che, senza fonti rinnovabili, l'auto elettrica abbia ben poco senso. Entro il 2026, la capacità produttiva globale di elettricità rinnovabile è previsto aumenti di oltre il 60% rispetto al 2020, raggiungendo un peso equivalente a quella legata a combustibili fossili e nucleare. Risolta, però, la questione energetica, non vanno dimenticati i problemi ambientali associati ad alcuni elementi chimici ormai fondamentali per le produzioni elettriche. 

È il caso delle terre rare. Questi elementi chimici, che a dispetto della loro definizione sono particolarmente abbondanti sulla terra, sono dannosi per l'ambiente. La loro estrazione non è solo particolarmente inefficiente a causa delle difficoltà di separarli dai minerali associati, ma libera polveri inquinanti, acidi pericolosi come quello solforico, anidride solforosa e perfino elementi radioattivi. Non a caso gli Stati Uniti hanno ridotto l'estrazione di terre rare lasciando il dominio del mercato alla Cina, dove le normative ambientali non sono certo stringenti come nei Paesi occidentali.

Ed è proprio il quadro normativo più lassista sul fronte ambientale che ha consentito alla Cina di conquistare la leadership globale per un altro elemento chimico fondamentale per la mobilità elettrica: il cobalto. E qui si apre una questione etica non dissimile a quella legata allo sfruttamento delle riserve petrolifere, fonti da sempre di tensioni geopolitiche e soprattutto di guerre intestine in alcuni dei Paesi più poveri al mondo e non solo nel ricco e martoriato Medio Oriente. Per il 60% viene estratto nella Repubblica Democratica del Congo, tra i Paesi più poveri al mondo nonostante le enormi ricchezze minerarie e tra i più dilaniati da faide locali, guerre e persecuzioni anche razziali. Dell'ex Zaire si sono occupate diverse, importanti testate americane, con reportage che hanno messo sotto accusa le pratiche di stampo colonialista proprio della Cina e i danni prodotti dall'estrazione del cobalto. Si parla di oltre 150 mila minatori che estraggono il minerale sostanzialmente a mani nude e senza alcuna precauzione, mentre l'Unicef ha quantificato in almeno 40 mila i bambini sfruttati nelle attività minerarie. E spesso il cobalto, insieme al famigerato coltan, ai diamanti e al nickel, si trasforma nella causa principale di massacri perpetrati da milizie para-militari, per non parlare di corruzioni, tangenti e tanto altro ancora. Ai cinesi, evidentemente, non importa, perché devono alimentare la loro industria di trasformazione: il 90% della capacità di raffinazione del cobalto è in mano ad aziende site in Cina. 

Così come non sembra importare quanto dannoso per l'ambiente sia il litio, un elemento diventato sempre più importante per l'elettronica di consumo e ormai imprescindibile per la mobilità elettrica. La sua estrazione, sotto forma di carbonato, è considerata particolarmente devastante, soprattutto per le falde acquifere, visto che per ogni chilo di minerale estratto sono necessari almeno 2 mila di litri d'acqua. Il problema è ancor più sentito laddove sono presenti le maggiori riserve mondiali: l'80% arriva dal territorio andino compreso tra Cile, Argentina e Bolivia e i principali siti estrattivi sono gli immensi deserti salati: il boliviano Salar de Uyuni e il cileno Salar de Atacama. Le associazioni ambientaliste stanno lanciando da anni allarmi sulle conseguenze dello sfruttamento minerario dell'area e sui gravi problemi causati soprattutto all'agricoltura e alle attività zootecniche. Qualcuno si è perfino spinto a parlare di rischi di escalation militare alla luce dei movimenti di truppe militari ai confini dei tre Paesi e sono in molti a ritenere che il recente colpo di stato contro l'ex presidente della Bolivia, Evo Morales, sia stato causato dagli interessi in gioco nello sfruttamento delle concessioni per l'estrazione di un minerale che sembra abbia tutto per assumere un peso geopolitico analogo a quello del petrolio.

Ma il discorso dell'impatto ambientale andrebbe esteso anche a tanti altri elementi chimici, come il rame, il nickel o il magnesio...

Fonte www.quattroruote.it

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