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FCA: le quattro sfide per Marchionne dopo la quotazione a Wall Street


Quando Sergio Marchionne e John Elkann hanno suonato la campanella per chiudere il primo giorno di contrattazione del titolo Fiat Chrysler Automobiles alla Borsa di New York si è chiuso un ciclo e se n’è aperto un altro. Poco importa la bandiera dell’azienda che è, finalmente, una vera multinazionale dell’auto. Poco importano le questioni di diritto e fiscali. Le due società automobilistiche sono, anche ufficialmente, una cosa sola: l’azienda deve riferirsi al diritto olandese e pagherà le imposte in Gran Bretagna. E il progetto economico e finanziario dell’amministratore delegato, iniziato nel 2009, è andato in porto con successo. Marchionne ha fatto quello che voleva fare ed è riuscito a mettere sui blocchi di partenza, quasi alla pari degli altri concorrenti, un’azienda che poco più di una decina di anni fa era tecnicamente fallita. E lo ha fatto spendendo “due cocomeri e un peperone”, ovvero una piccolissima parte di quanto investono gli altri grandi dell’industria automobilistica mondiale in ricerca, sviluppo, attività commerciali, acquisizioni, ecc. Ma se, fino ad adesso, non è stato facile, ora comincia davvero la parte più difficile. Adesso Fiat-Chrysler naviga in un grande oceano dove gli squali non fanno sconti a chi cade in mare e dove le capacità del capitano non bastano a far andare dritta la nave. Marchionne lo sa e la prima cosa che farà sarà cercare di piazzare un 87 milioni di azioni a investitori istituzionali americani per dare al proprio azionariato una struttura più stabile e internazionale. Ma immaginiamo che anche lui sappia che non è sufficiente. Se il valore della nuova Fiat-Chrysler resterà attorno ai 10 miliardi di euro, ovvero poco più di un quinto delle neo colleghe alla Borsa di New York General Motor e Ford, l’azienda sarà una preda, non un cacciatore. E sarà solo una questione di prezzo. Se invece gli Agnelli e Marchionne vogliono davvero giocare un ruolo nel settore devono fare, assolutamente e nel più breve tempo possibile, quattro cose, tutte difficilissime. La più semplice è trasformare due aziende che ancora oggi hanno poco o niente in comune in un’unica industria automobilistica. Dal punto di vista industriale, il processo è già cominciato con l’uso di pianali comuni, gli acquisti coordinati e il trasferimento di personale. E anche dal punto di vista commerciale si è visto qualcosa con lo sbarco delle 500 oltreoceano e la promessa di un prossimo arrivo della Alfa Romeo. Ma è stato un percorso a senso unico, dall’Italia agli Stati Uniti. Si può fare di più e meglio. Un solo esempio: ha senso che i modelli Chrysler che avevano una nicchia non piccolissima, siano in quasi tutta Europa targati Lancia e lasciati in un angolo? Il secondo obiettivo di Marchionne deve essere quello di investire in nuovi prodotti. Mercedes, Bmw e Volkswagen ne sfornano quasi uno al mese per riuscire a infilarsi in ogni nicchia di mercato e offrire ai clienti automobili sempre all’avanguardia. Questo significa investire una marea di soldi, ma se non si resta al passo si cade. Il terzo obiettivo è aprire nuovi mercati. FCA vende in pochi paesi d’Europa, nel Nord America e in Brasile. Altrove, dove c’è, ha percentuali da prefisso telefonico. E non parlo solo della Cina, dove la situazione è complicata da una serie di joint venture fallimentari: ci sono decine di mercati importanti come alcuni paesi africani, la Russia, l’India, l’Indonesia, la Tailandia da esplorare e conquistare con i prodotti giusti. Magari quelli di Chrysler visto che quelli di Fiat non hanno funzionato. Gli altri costruttori ci sono già e questo renderà l’impresa non facile. Il quarto obiettivo è quello di trovare un partner che sia in grado di aprire le porte dell’Oriente a Fiat Chrysler Automobiles che da quelle parti fa una fatica immane. Ma non basterebbe una semplice partnership commerciale o industriale come quella messa in campo adesso con Madza. Per diventare una delle protagoniste del mercato automobilistico mondiale Marchionne deve riuscire a fondere Fca con un’azienda come Suzuki. Un’operazione del genere creerebbe sinergie di una portata inimmaginabile e un inattaccabile gigante mondiale. Che un progetto del genere sia nel cassetto di Marchionne ne siamo certi.

Fonte ilsussidiario.net

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