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In ricordo dell'Avvocato


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Giovanni Agnelli, detto Gianni e noto anche come l'Avvocato (Torino, 12 marzo 1921 – Torino, 24 gennaio 2003), è stato un imprenditore e politico italiano, principale azionista e amministratore al vertice della FIAT, nonché senatore a vita.
Figlio di Edoardo Agnelli e della principessa Virginia Bourbon del Monte, era il secondo dei sette figli della coppia.
Nato a Torino nella casa di famiglia in corso Oporto (ora corso Matteotti), Gianni Agnelli fu il nipote dell'omonimo senatore Giovanni Agnelli. Il padre Edoardo morì tragicamente in un incidente aereo nel 1935, quando Gianni aveva 14 anni.
Ha sposato a Strasburgo, nel castello di Osthoffen, Marella Caracciolo dei Principi di Castagneto dalla quale ha avuto due figli, Edoardo e Margherita.


Diventa Amministratore Delegato della Fiat nel 1963, una carica che deve condividere con Gaudenzio Bono, un "vallettiano" a tutto tondo, e in ogni caso il timone dell'azienda automobilistica rimane per ora nelle mani del "professore" sempre presidente.
Il 30 aprile 1966, l'ormai ultraottantenne presidente FIAT Vittorio Valletta propose, quale suo sostituto, il nome di Gianni Agnelli all'Assemblea Generale degli Azionisti, che ne deliberò l'approvazione, restituendo il timone aziendale alla famiglia Agnelli, dopo oltre 20 anni di presidenza Valletta. Il nuovo assetto dirigenziale, naturalmente, teneva conto dell'inesperienza di Agnelli, mantenendo Valletta quale delegato speciale per i programmi produttivi, i rapporti con le maestranze e le iniziative estere, mentre Gaudenzio Bono assumeva le cariche di amministrastore delegato unico e direttore generale.

Insediatosi al timone della Fiat all'età di 45 anni, dopo avervi svolto praticamente solo ruoli di rappresentanza, Gianni Agnelli si trovò dinnanzi a due problemi. Il primo riguardava l'esecuzione dell'accordo con l'Unione Sovietica per la costruzione di uno stabilimento presso una cittadina sul Volga (che verrà chiamata Togliatti), per il quale la Fiat doveva fornire all'Autoprominport (l'ente sovietico preposto) lo stabilimento "chiavi in mano" e il know-how per la produzione. Il contratto era stata l'ultima opera di Valletta e la morte di questi, avvenuta nel 1967, rischiava di renderne difficoltosa l'attuazione, ma la gestione non si presentò particolarmente onerosa: i sovietici rispettarono i termini stabiliti e tutto procedette secondo il programma stabilito.

Il secondo problema è assai più grave. Venendo incontro al presidente dell'Alfa Romeo Giuseppe Luraghi, che da anni va predicando l'impossibilità di far quadrare i conti aziendali senza un'adeguata "massa critica" di volumi produttivi (e cogliendo l'occasione di aprire un grosso stabilimento al Sud), il governo italiano ha deciso di finanziare l'Alfa per la costruzione di uno stabilimento nell'Italia meridionale, ove si produca un modello di autovettura di livello medio, nella stessa fascia di mercato, più o meno, della Fiat 128, che verrà lanciata di lì a poco.

Secondo Gianni Agnelli, nell'orticello del mercato italiano dell'auto di fascia bassa e media, concupito già dalle concorrenti europee grazie alla graduale riduzione dei dazi all'interno della CEE, non c'è spazio per un altro concorrente italiano, specialmente se questo può contare sui finanziamenti a carico del contribuente. Ma tutti i tentativi per contrastare a livello politico questo progetto falliscono; la sede designata è Pomigliano d'Arco, un paese a pochi chilometri da Napoli, ove già operano la piccola Alfa Motori Avio, e l'Aerfer, azienda parastatale di medie dimensioni, che produce parti di velivoli commerciali per conto di grosse aziende americane (che verrà poi incorporata in Aeritalia, divenuta successivamente Alenia). Per trovare i quadri tecnici intermedi in numero sufficiente a far funzionare lo stabilimento, la neonata Alfasud non può che rivolgersi alla FIAT, cui sottrae questi personaggi offrendo loro stipendi di entità superiore rispetto a quelli dell'azienda torinese.

Sulla base di uno studio commissionato a una società di consulenza americana, dai primi del 1968 dà il via a una complessa opera di ridisegno del sistema aziendale, affidato soprattutto all’intervento del nuovo Amministratore delegato, il fratello Umberto Agnelli (nato nel 1934). Questi, che sedeva nel Consiglio di amministrazione della Fiat dal 1964, viene da una precedente esperienza di riorganizzazione della consociata francese Simca, all’epoca quarto produttore di automobili sul mercato d’Oltralpe. Rinunciando alla politica industriale di Vittorio Valletta (Terra/mare/cielo), Gianni Agnelli decide di disfarsi di quelle produzioni che richiedono continui investimenti e la cui redditività è precaria e condizionata (non solo sul mercato italiano) da scelte spesso legate a decisioni di carattere politico. Vengono così cedute alla Finmeccanica il 50% della Grandi Motori, detta Divisione Mare, specializzata in motori marini a ciclo Diesel per grosse navi, che sarà trasferita a Trieste con il nome iniziale di Grandi Motori Trieste.

Analogamente si procede con la cosiddetta Fiat Velivoli, specializzata in fabbricazione di aerei, prevalentemente di uso militare, spesso su licenza di grosse aziende estere, che viene aggregata all'Aerfer di Pomigliano d'Arco, nella società a partecipazione statale Aeritalia (divenuta molti anni dopo Alenia). La partecipazione Fiat rimarrà solo un fatto finanziario, poiché il controllo operativo è di Finmeccanica: il restante 50% delle azioni verrà definitivamente alienato da Fiat nel 1975. Così va anche per altre realtà minori.

Nel 1969 la Ferrari cede alla Fiat il controllo della sua casa di auto sportive: il reparto corse resterà gestito per molti anni ancora dall'ing. Ferrari. Il primo febbraio del 1970 viene acquisita dalla famiglia Pesenti, a un prezzo simbolico di un milione di lire, la Lancia, glorioso marchio di auto di prestigio (era detta "la Mercedes italiana") fondata a Torino da Vincenzo Lancia nel 1907, ormai in stato di quasi insolvenza.

Il sogno di Gianni Agnelli è l'internazionalizzazione della FIAT. Due anni dopo l'assunzione della guida della Fiat, Gianni Agnelli concorda con François Michelin, proprietario del pacchetto di controllo della Citroën, che si trova in cattive acque, l'acquisto della partecipazione con l'intenzione di giungere successivamente al controllo totale della casa automobilistica francese.

La sinergia fra i due costruttori europei sembra promettere bene: Citroën è un marchio prestigioso, con buona fama nella produzione di auto di alta gamma, la Fiat ugualmente nelle utilitarie. L'accordo si conclude, al vertice Citroën arrivano uomini Fiat ma ci si mette di traverso l'opposizione di stampo nazionalistico dei gollisti: alla Fiat viene fatto divieto di acquisire la maggioranza delle azioni Citroën. Le incomprensioni fra i tecnici italiani e i tecnici francesi compiono il resto: la Fiat, senza il controllo totale dell'azienda, non può imporre nulla senza accordo con le altre forze nel gioco, può solo investire per ammodernare impianti e strutture.

Alla fine, quattro anni dopo, il sogno s'infrange e Gianni Agnelli dovrà rinunciare alla sua internazionalizzazione, almeno attraverso questa via, e la quota Fiat viene ceduta alla Peugeot. L'Avvocato ripiega, sperimentando altre vie, verso un altro modello di internazionalizzazione che passerà attraverso gli stabilimenti Zastava per la produzione del mod. 128 (Yugoslavia) e Tofaş per la produzione del mod. 124 (Turchia). Già presente sul mercato polacco con la fabbricazione del mod. 125, il 29 ottobre 1971, la Fiat sigla un importante contratto di licenza e collaborazione industriale con la Pol-Mot. Ne segue, presso gli stabilimenti F.S.M. di Tychy, la produzione su larga scala della Fiat 126. Il modello, prodotto alla media di oltre mille vetture al giorno, contribuì notevolmente alla motorizzazione dell'intera Polonia e dei mercati d'oltre cortina. Poco dopo verrà decisa l'avventura di una produzione oltre oceano: creare uno stabilimento in Brasile (Belo Horizonte nello stato di Minas Gerais) ove si produrrà inizialmente la 127, opportunamente modificata per quel mercato (il nome del modello brasiliano sarà 147). L'ambizioso progetto di Giovanni Agnelli, per rendere noto al mondo il marchio FIAT, si realizza nel giro di una decina d'anni con le unità produttive presenti su 4 continenti:

Europa - Italia (Fiat, Lancia, Autobianchi, Ferrari), Spagna (Seat), Yugoslavia (Zastava), Polonia (F.S.M.).
Sud America - Brasile (Automoveis), Argentina (Concorde).
Asia - Turchia (Tofas).
Africa - Piccole unità produttive in Egitto e Sud Africa

Non sono trascorsi che tre anni dal suo insediamento al vertice della FIAT, che Gianni Agnelli deve affrontare un problema piuttosto difficile: il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici (1969). La vertenza procede per tutta la prima metà dell'anno più o meno aspramente rispetto alle volte precedenti, ma all'inizio di settembre le cose cambiano radicalmente ed emergono nuove, inattese forme di sciopero: incomincia quello che verrà subito battezzato autunno caldo.

Iniziano i carrellisti di Mirafiori, Stabilimento Presse: scioperano al di fuori delle direttive del sindacato, sono scioperi improvvisi, mezza giornata o meno per volta, ma l'effetto è paralizzante. Il loro compito è trasportare le parti di carrozzeria appena stampate dalle presse alla catena di montaggio: fermi loro, ferma tutta la produzione. In un primo momento il sindacato disapprova queste forme di protesta spontanee e autonome, poi tenta di farle rientrare nell'alveo della propria iniziativa, agevolato anche dalla posizione dell'Azienda, che vuole un unico interlocutore ufficiale di fronte alle maestranze. Iniziano, così, forme di sciopero del tutto nuove: si entra al mattino alle 8 al lavoro ma dopo venti minuti passano delegati nei vari reparti ad annunciare uno sciopero improvviso che inizierà alle otto e trenta e durerà fino all'ora di pranzo (od analogamente al pomeriggio). Tutto ciò a rotazione: ora in uno stabilimento, ora nell'altro.

Si formano nelle officine cortei (detti "serpentoni") di operai muniti di fischietti e altri strumenti sonori che percorrono i locali invitando i colleghi riluttanti ad astenersi dal lavoro. Quasi sempre invadono anche le Palazzine uffici, rendendo problematiche le condizioni di lavoro per gli impiegati che non vogliono scioperare. Si verificano anche degli episodi di violenza, sui quali l'azienda non interviene, per non inasprire gli animi ed evitare danni alle persone e alle apparecchiature. Questi episodi di violenza, accaduti prevalentemente all'ingresso degli stabilimenti produttivi, sono fomentati da forze estranee all'azienda, come risulta dai verbali redatti dalle forze dell'ordine e dalle pubbliche dichiarazione dell'allora questore di Torino Giuseppe Montesano. Viene rilevata la presenza attiva di esponenti della neonata Lotta Continua e una massiccia presenza di studenti universitari provenienti dalla Sapienza di Roma.

Dal punto di vista del business le cose vanno bene: la crisi economica del 1964 è ormai superata, la richiesta di autovetture è in continuo aumento, tanto che la Fiat non riesce a soddisfarla e i tempi di consegna si allungano. Proprio in quest'autunno entra in funzione lo stabilimento di Rivalta di Torino, ove si provvederà al montaggio della nuova media cilindrata (per quei tempi), la 128, destinata a prendere il posto della famosa 1100 (mod. 103). È un'auto dalla linea moderna e accattivante, il prezzo è contenuto e piace subito, ma per averla bisogna attendere fino a nove mesi.

La vertenza si chiude nel gennaio del 1970 con un nuovo oneroso contratto per le aziende, con concessioni normative consistenti, che incideranno pesantemente sui bilanci futuri. Fra l'altro vengono abolite le differenze territoriali per la determinazione del minimo sindacale del salario (fino a quel momento i salari minimi sono differenziati per provincia, a seconda dell'indice del costo della vita locale elaborato dall'ISTAT) cosicché il neoassunto a Palermo percepirà, a parità d'inquadramento, lo stesso salario di quello assunto a Milano.

Si valuta che la perdita di produzione durante il periodo "caldo" ammonti a oltre 130.000 vetture (ma c'è chi dice molto di più, oltre 270.000: si tratta di vedere entro quali termini temporali viene considerato il periodo "caldo"). Intanto gli effetti dell'apertura dei mercati all'interno della CEE si fa sentire e la concorrenza straniera aumenta la sua penetrazione in Italia.

Nella prima metà degli anni settanta Gianni Agnelli deve affrontare la prima grossa crisi della Fiat, la più grande forse a partire dalla prima guerra mondiale: l'autofinanziamento non è più possibile (l'investimento brasiliano ha pesato non poco e i primi risultati sono deludenti, le vendite di auto in Italia calano e la concorrenza straniera, grazie alla piena attuazione del Trattato di Roma in materia di barriere doganali nell'Europa, si fa sempre più agguerrita, erodendo alla Fiat quote crescenti di mercato) e la Fiat non può più fare a meno, come è stato fino a quel momento, di ricorrere massicciamente al credito.

Viene assunto in quel periodo un nuovo responsabile della finanza aziendale: Cesare Romiti (autunno del 1974) che raggiungerà nel quasi quarto di secolo di permanenza in Fiat, il massimo vertice. Auspice Romiti, Gianni Agnelli trasforma la Fiat S.p.A. da un'azienda industriale in una holding finanziaria. Da questa dipenderanno tante holding di settore, una per ogni settore produttivo, alle quali saranno sottoposte le rispettive società operative. Il processo dura più di cinque anni e nascono così (citiamo solo quelle di dimensioni maggiori): la Fiat-Allis, settore macchine agricole, l'Iveco, settore veicoli industriali, La Macchine Movimento Terra, la Teksid (fonderie, produzioni metallurgiche e altro). Ultima, ma solo in ordine di tempo, la Fiat Auto (autovetture e veicoli commerciali leggeri).

Separazione secondo il mercato servito e internazionalizzazione. L'avvento di Agnelli al timone della Fiat segna anche una svolta nella politica finanziaria della Fiat: l'Avvocato si avvicina sempre più alla Mediobanca di Enrico Cuccia (forse anche a seguito delle traversie finanziarie della Fiat e ai buoni rapporti che intercorrono fra Romiti e Cuccia) dalla quale il suo predecessore Valletta si era sempre tenuto a una cortese distanza.

Nel 1976 accadono due nuovi eventi: la meteora De Benedetti e l'alienazione della SAI. Carlo De Benedetti è un giovane imprenditore rampante: ha rilevato l'azienda del padre, ha acquisito, per poco prezzo e per gradi, alcune aziende operanti nel settore della componentistica auto, che non se la passavano bene, e le ha ristrutturate e razionalizzate inserendole nella sua Gilardini, di cui ha il controllo con il 60% delle azioni. Si avvale di diversi collaboratori e inoltre dal 1974 al 1976 è stato presidente dell'Unione Industriale di Torino.

Conosciuto il personaggio (è stato compagno di scuola del fratello Umberto), Gianni Agnelli gli propone di entrare in Fiat come direttore generale accanto a Romiti. Carlo De Benedetti accetta ma a patto di diventare azionista Fiat, cosicché Gianni Agnelli fa acquistare dalla Fiat la Gilardini (azienda il cui fatturato è prevalentemente costituito dalle forniture alla stessa azienda) e la paga con un pacchetto di azioni Fiat pari a circa il 5% del capitale sociale della medesima. De Benedetti, che si è portato dietro alcuni fedelissimi tra i quali il fratello Franco e l'ingegnere Giorgio Garuzzo, inizia un lavoro di sfoltimento del management aziendale.

Poi, improvvisamente, a fine agosto, decide di andarsene. I motivi di questo dietro-front dopo così poco tempo non sono mai stati spiegati chiaramente. Gianni Agnelli gli ricompra il pacchetto di azioni Fiat allo stesso prezzo di valutazione della Gilardini quando quattro mesi prima fu acquisita dalla Fiat, ove rimarrà. L'altro evento riguarda la Compagnia di assicurazione SAI, di proprietà della famiglia Agnelli. Fondata dal nonno di Gianni negli anni venti per riporci le polizze delle sue aziende e quelle personali, segue lo sviluppo della Fiat giovandosi dell'automatica acquisizione del cliente che acquista a rate l'autovettura con finanziamento SAVA (la società della Fiat che fornisce il credito alla clientela).

La quota di controllo della SAI, che è quotata in borsa, è nel portafoglio di una delle "casseforti di famiglia", l'Istituto Finanziario Industriale (IFI). In questo momento è la terza compagnia italiana per raccolta premi e la prima nel settore delle assicurazioni auto (preponderante di molto rispetto agli altri rami esercitati). Questo pare venga considerato il suo tallone di Achille: le tariffe RC Auto sono bloccate dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato da quando è entrata in vigore l'obbligatorietà dell'assicurazione RC per gli autoveicoli; l'inflazione gonfia i costi di riparazione, qualcuno incomincia a pensare che l'attività assicurativa di questo ramo verrà nazionalizzata.

Nel luglio del 1976 in assemblea viene dato un annuncio improvviso: la compagnia è stata venduta al finanziere Raffaele Ursini. Sembra che la vendita, caldamente patrocinata presso l'Avvocato dal management IFI, si sia rivelata improduttiva per il venditore: il ricavato dell'acquisto, cosa già nota in sede di trattative con Ursini, se ne va quasi tutto nel riacquisto della consistente quota di azioni FIAT, ordinarie e privilegiate, che stavano nel portafoglio della Compagnia.

Il blitz dell'Avvocato irrita il fratello Umberto che al momento della firma del contratto di cessione si trova negli USA e, tornato in Italia, si sarebbe trovato di fronte al fatto compiuto. Sulla vendita si scatenano le polemiche (anche se allora non vi era per questi casi l'obbligo di OPA): il prezzo di vendita, si dice, è stato troppo basso e nell'entourage Fiat si diffonde il malcontento.

Ironia della sorte, un anno dopo il Ministero concederà agli assicuratori il sospirato aumento delle tariffe (20%), la SAI rifiorirà, se mai fosse appassita, passerà ancora di mano (da Ursini al costruttore d'immobili Salvatore Ligresti) e, come altre compagnie, tornerà a essere nel giro di pochi anni altamente redditizia. La FIAT costituirà poco dopo una compagnia propria l'Augusta Assicurazioni, ma rientrerà di fatto nel business assicurativo solo molti anni dopo, acquistando il pacchetto di maggioranza della Toro Assicurazioni dal fallimento del Banco Ambrosiano.

Alla fine del 1976 i problemi finanziari sembrano risolti con la cessione di poco più del 9% del capitale FIAT alla Lafico (Lybian Arab Foreign Investment Company), una banca controllata dal governo libico di Mu'ammar Gheddafi (in dieci anni il socio libico, nel mero ruolo di investitore, arriverà a possedere quasi il 16% del capitale Fiat). La cessione getta un certo sconcerto negli ambienti politici occidentali per le tensioni esistenti tra la Libia di Gheddafi e diversi altri stati, USA in testa.

La crisi si riaffaccia prepotente a fine anni settanta (la quota di mercato della FIAT Auto in Italia, il mercato più importante per l'azienda torinese, è scesa dal quasi 75% del 1968, a meno di due anni dall'esordio di Gianni Agnelli come responsabile attivo dell'azienda, al 51% del 1979, ovvero quasi 25 punti in meno in dieci anni. Nel resto dell'Europa, Spagna esclusa, le cose non sono andate meglio, si passa da un già modesto 6,5% del 1968 al 5,5 del 1979), ma la crisi viene superata grazie alla ottima riuscita di modelli voluti dal nuovo direttore generale di FIAT Auto, Vittorio Ghidella: la Uno e, successivamente, la Croma e la Thema.

I rapporti di Gianni Agnelli con le sinistre italiane, specialmente con il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, rappresentarono l'essenza delle relazioni industriali con le forze politiche e specialmente con i sindacati.

Il conflitto vede questi ultimi soccombere quando nel 1980 uno sciopero generale, che ha portato al blocco della produzione, (il "blocco" dei cancelli FIAT durò ben 35 giorni) viene spezzato dalla cosiddetta "marcia dei quarantamila", (dal supposto numero dei lavoratori che il 14 ottobre dello stesso anno sfilarono in Torino reclamando il diritto "di poter andare a lavorare"). Questa azione segna un punto di svolta e una brusca caduta del potere sino ad allora detenuto dai sindacati in Italia, che non avranno più, in seguito, eguale influenza sulla società e sulla politica nazionale.

Si tratta di un periodo in cui le cose vanno abbastanza bene, l'azienda, grazie al successo ottenuto con i nuovi modelli di cui si è detto e alla riduzione dei costi di produzione ottenuta con una forte spinta all'automazione dei processi produttivi (robotizzazione) che la porta a primeggiare nel mondo in questo campo, produce nuovamente buoni utili per i suoi azionisti e assume anche nuova mano d'opera. A metà degli anni ottanta inizia una trattativa di accordo societario con la Ford Europa ma poi, a trattative già avanzate, l'accordo sfuma (ottobre 1985).

Poco dopo Gianni Agnelli strappa proprio alla Ford l'acquisto dall'IRI dell'Alfa Romeo, che il governo italiano ha deciso di vendere. Le offerte dei due contendenti comprendono un corrispettivo a titolo di acquisto più impegni finanziari successivi nella nuova realtà produttiva. In effetti il confronto fra le due offerte non è facile poiché, al di là del mero corrispettivo di acquisto, si inseriscono altri fattori quali: le modalità di pagamento di tale corrispettivo, gli impegni a mantenere i livelli occupazionali dell'Alfa, l'ammontare degli investimenti che i due acquirenti promettono di fare nella azienda acquisita. Queste complessità favoriscono il fiorire di numerose polemiche.

Nell'autunno si risolve poi un problema già vivo da qualche anno: la presenza di una banca dello stato libico nella compagine azionaria. Tale presenza ha già dato luogo a numerosi problemi alla Fiat per i rapporti che il gruppo tiene con numerose società ed enti statunitensi, arrivando a essere causa di rifiuto di acquisto di forniture di aziende del gruppo da parte di enti federali americani o di società private, le quali però lavorano per la Difesa statunitense. Proprio nella primavera la tensione giunge al culmine: il 15 aprile 1986 uno stormo di cacciabombardieri americani attacca una base navale libica presso Bengasi e la residenza dello stesso Gheddafi vicino a Tripoli (Operazione El Dorado Canyon), in ritorsione a una serie di attentati contro basi americane e luoghi frequentati da americani, la cui responsabilità viene attribuita dall'amministrazione USA al governo libico. Poche ore dopo due missili libici cadono non lontano dalle coste dell'isola di Lampedusa. Dopo una trattativa durata qualche mese con i rappresentanti della banca libica la quota Fiat in mano ad essa viene riacquistata da una delle "casseforti di famiglia", l'IFIL (settembre 1986). L'operazione, studiata da Agnelli e Romiti con Enrico Cuccia, che vede coinvolte sia Mediobanca che la Deutsche Bank, è una manovra finanziaria complicata, che nel complesso riesce ma solleva molte critiche.

Nel 1987 Gianni Agnelli blinda il controllo della Fiat da parte della famiglia costituendo la Società in accomandita per azioni Giovanni Agnelli, nella quale confluiscono le partecipazioni degli ormai numerosissimi componenti della famiglia. Questa "tecnica" verrà presto utilizzata da altri industriali. Inspiegabilmente, alla fine del 1988, l'artefice della potente ripresa dell'azienda sui mercati italiano ed europeo, Vittorio Ghidella, viene bruscamente allontanato dalla Fiat dopo essere stato sugli scudi per tanto tempo. Due anni prima lo stesso Gianni Agnelli, entusiasta dei risultati ottenuti da Ghidella, l'aveva pubblicamente indicato come il futuro successore di Cesare Romiti. Intanto incomincia a pesare anche in Italia la concorrenza di avversari temibilissimi: i giapponesi.

Al principio degli anni 2000, Gianni Agnelli, convinto che la Fiat non ce la farà da sola ad affrontare la sfida del mercato mondiale (fra il 1990 e il 2001 la quota di mercato FIAT in Italia si è ridotta da circa il 53% a circa il 35% e in Europa da poco più del 14% a meno del 10%), apre agli americani della General Motors (GM), con i quali conclude un'intesa: la grande azienda statunitense acquista il 20% della Fiat Auto pagandolo con azioni proprie (un aumento di capitale riservato alla Fiat) che valgono in totale circa il 5% dell'intero capitale GM e la Fiat ottiene una clausola put, il diritto esercitabile in questo caso dopo due anni ed entro gli otto successivi, di cedere a GM il rimanente 80% della Fiat Auto a un prezzo da determinarsi con certi criteri predefiniti e che GM sarà obbligata ad acquistare. Sono previste inoltre fusioni fra società costituite da stabilimenti Fiat Auto e stabilimenti Opel, la consociata europea di GM, con sede in Germania.

L'accordo si rompe cinque anni dopo (sia FIAT che GM si trovano in grosse difficoltà) con un risultato opposto a quanto ipotizzato originariamente: non è la Fiat Auto che viene interamente ceduta a GM, bensì è GM che paga per evitare l'esercizio del diritto di cessione (clausola put) da parte Fiat, cedendo a quest'ultima anche le quote GM di Fiat Auto. Le società operative miste, già costituite e operanti, vengono sciolte e ognuno si riprende la sua parte, anche se GM mantiene i diritti di produzione dei motori MultiJet, che saranno montati su tutta la gamma GM e costruiti in un apposito stabilimento GM-Powertrain a Tychy, in Polonia. La crisi economica del settore auto del Gruppo Fiat trova Agnelli già in lotta contro il tumore ed egli può partecipare ormai solo in maniera limitata allo svolgersi degli eventi.

Il 24 gennaio 2003 Gianni Agnelli muore a Torino nella sua storica residenza collinare Villa Frescòt (al confine con Pecetto Torinese) per carcinoma della prostata. La camera ardente viene allestita nella Pinacoteca del Lingotto, secondo il cerimoniale del Senato. Il funerale, trasmesso in diretta su Rai 1, si svolge nel Duomo di Torino, seguito da un'enorme folla. La moglie, con una lettera aperta al direttore del quotidiano La Stampa ringrazierà poi tutte le figure nazionali e internazionali e tutti i cittadini presenti. È sepolto nella monumentale cappella di famiglia presso il piccolo cimitero di Villar Perosa.

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