Il memorandum di intesa tra Fca e Psa, firmato nella mattinata del 18 dicembre, fornisce qualche dettaglio che aiuta a ricostruire la geografia dell'azionariato futuro. Al momento nel gruppo Fca il primo socio è rappresentato da Exor con una quota del 28,9%. Psa, dal canto suo, vede tre azionisti: la famiglia Peugeot, lo Stato Francese (Bpifrance) e il socio cinese Dongfeng al 12% ciascuno.
In teoria nel nuovo aggregato, post fusione dei due gruppi e alla luce di una aggregazione alla pari, l’assetto vedrebbe la holding della famiglia Agnelli al 14%, e la famiglia Peugeot, Bpifrance e Dongfeng al 6% ciascuno. Nel nuovo accordo gli equilibri sono stati leggermente spostati.
Ci sono infatti due nuove previsioni che «aggiustano» i pesi nell’azionariato. È stabilito, in primo luogo, la discesa del socio cinese che venderà una parte dei titoli in suo possesso nella nuova entità, l’1,5%, al Gruppo Psa, con contestuale annullamento delle azioni. Dongfeng, dunque, scenderà non al 6% ma al 4,5%. L'acquirente, però, è stato già individuato ed è proprio il gruppo transalpino guidato da Carlos Tavares. Inoltre il memorandum aggiunge un passaggio finora non contemplato nelle linee guida comunicate alla fine dello scorso ottobre.
Stabilisce, infatti, che il Governo francese riduca la propria presenza nel nuovo aggregato vendendo il 2,5% di Fca-Psa post fusione. Dunque non è soggetta per questa quota al vincolo di lock up. Il peso dello Stato, così, si appresta a passare dal 6% preventivato al 3,5% in tempi brevi.
Quel pacchetto rotondo del nuovo colosso dell’auto finirà alla famiglia Peugeot nell’ambito di quel rafforzamento all’8,5% già previsto proprio perché la dinastia transalpina può salire solo acquistando dal socio cinese (che però venderà al gruppo Psa), dal Governo o sul mercato. In questo modo il fronte francese viene potenzialmente ridimensionato al 12%, dunque alle spalle di Exor che resta in cima alla lista degli azionisti con il 14 per cento.
In questo quadro un accordo tra Exor e la famiglia Peugeot blinderebbe il 22,5% del colosso dell'auto. Un peso che, se la quota dovesse essere mantenuta per tre anni, sarebbe quasi il doppio in termini di diritti di voto.